Interessante caso letterario che pone a confronto le vite di Alice e Mattia, due giovani segnati dagli eventi traumatici del loro passato: Alice è rimasta zoppa da bambina per seguire un sogno non suo, e della sua anoressia non frega niente a nessuno; Mattia ha abbandonato la sorellina autistica in un parco, un giorno, e forse è colpevole della sua morte. Sia l’uno che l’altra crescono coltivando le loro solitudini, occultando e mascherando tutti quei dolori segreti che si riversano, inevitabilmente, nei loro caratteri, nelle decisioni prese, in quelle evitate. Si rincorrono, i protagonisti; si cercano e si respingono, si amano e si disprezzano lungo tutta la storia. Si tengono a distanza, pur essendo legati da qualcosa di forte e ignoto, a cui nessuno dei due riesce a dare nome.
Coinvolge, Paolo Giordano. Ci regala un’opera prima intelligente nella forma, con uno stile semplice, lineare e diretto. Mai stancante nelle sue descrizioni; forse impressionante in alcune immagini inusuali. Delinea i suoi personaggi con cura e trasporta il lettore, con ritmo, fino alla fine, dove lo pone, purtroppo, di fronte ad un non-finale. Il romanzo sembra incompiuto, come mancante di una delle colonne portanti. Si segue con piacere la crescita dei protagonisti, si arriva a sperare, addirittura, in una fine originale che non c’è, che delude.
La solitudine dei numeri primi è un libro interessante per lo stile, forse meno per i contenuti. Una storia che alla fine si dimentica, perché emotivamente non lascia nulla, ma che bisogna leggere. Fosse anche solo per puro esercizio mentale. La parte più bella dell’opera: il titolo.