Seta – A. Baricco

Hervé Joncour è un mercante di bachi da seta. Viaggia ogni anno dalla Francia al Giappone per comprare le uova che faranno la sua fortuna. In uno di questi lunghi viaggi incontra una donna giapponese per la quale si sente fortemente attratto: fra i due nasce una silente intesa che distrarrà Hervé dalla sua vita regolare, dal suo lavoro, dal suo matrimonio con Hélène. Non dirà una parola a nessuno di quell’incontro, né di quel segreto amore che non sarà mai davvero segreto.

Storia inedita, dai profumi nuovi e misteriosi. Baricco si dedica al racconto di una vita intera, in modo veloce, secco, quasi nervoso. Il suo stile stringato, serrato da frasi brevi, incisive, accompagnate da una punteggiatura personale e riconoscibile, cullano l’intera trama con dolcezza, malinconia, perdizione. Abilissimo nel creare immagini soavi, l’autore è in grado di regalare al lettore due ore di gradevole lettura, e di sorprendere con un finale inaspettato e commovente.

Il bambino con il pigiama a righe – J. Boyne

Libri sulla Shoa: innumerevoli. Libri che spiegano la Shoa ai bambini: moltissimi. Libri originali che raccontano l’Olocausto e il dramma dei campi di concentramento dal punto di vista di un bambino, emozionando con semplicità e ironia: uno, Il bambino con il pigiama a righe.

È la storia di Bruno, figlio di un ufficiale nazista, la cui famiglia si trasferisce in una villa a ridosso di un campo di concentramento. Rimasto senza amici, il bimbo di 8 anni inizia a esplorare i dintorni della nuova casa alla ricerca di giochi ed intrattenimenti, fin quando non si imbatte in Schmuel, un bimbo col pigiama sporco al di là del recinto. I due cominciano a parlare attraverso la rete, a conoscersi, e ad instaurare un’insolita amicizia fatta di giochi improbabili e racconti curiosi.  Un’amicizia, la loro, che sembra non avere luogo, né tempo né spazio, e che li condurrà ad un finale drammatico.

Il libro si presenta con un linguaggio informale, scorrevole e ironico. Il narratore è esterno, ma è come se parlasse il bimbo protagonista. E regala a tratti umore, a tratti stupore per le riflessioni ingenue, ignare ma intelligenti di Bruno. Fa riflettere, questo romanzo; ha una trama originale, indovinata, che rapisce l’interesse del lettore nonostante, per alcuni versi, rasenti l’inverosimile. Sono diverse, infatti, le obiezioni sollevate in proposito di alcuni elementi del racconto che, agli occhi degli storici, paiono inattendibili e improbabili.

Ciò nonostante, resta un libro piacevole, di cui si consiglia la lettura, anche ai più giovani.

La solitudine dei numeri primi – P. Giordano

Interessante caso letterario che pone a confronto le vite di Alice e Mattia, due giovani segnati dagli eventi traumatici del loro passato: Alice è rimasta zoppa da bambina per seguire un sogno non suo, e della sua anoressia non frega niente a nessuno; Mattia ha abbandonato la sorellina autistica in un parco, un giorno, e forse è colpevole della sua morte. Sia l’uno che l’altra crescono coltivando le loro solitudini, occultando e mascherando tutti quei dolori segreti che si riversano, inevitabilmente, nei loro caratteri, nelle decisioni prese, in quelle evitate. Si rincorrono, i protagonisti; si cercano e si respingono, si amano e si disprezzano lungo tutta la storia. Si tengono a distanza, pur essendo legati da qualcosa di forte e ignoto, a cui nessuno dei due riesce a dare nome.

Coinvolge, Paolo Giordano. Ci regala un’opera prima intelligente nella forma, con uno stile semplice, lineare e diretto. Mai stancante nelle sue descrizioni; forse impressionante in alcune immagini inusuali. Delinea i suoi personaggi con cura e trasporta il lettore, con ritmo, fino alla fine, dove lo pone, purtroppo, di fronte ad un non-finale. Il romanzo sembra incompiuto, come mancante di una delle colonne portanti. Si segue con piacere la crescita dei protagonisti, si arriva a sperare, addirittura, in una fine originale che non c’è, che delude.

La solitudine dei numeri primi è un libro interessante per lo stile, forse meno per i contenuti. Una storia che alla fine si dimentica, perché emotivamente non lascia nulla, ma che bisogna leggere. Fosse anche solo per puro esercizio mentale. La parte più bella dell’opera: il titolo.