“Per il comunismo Brigate Rosse”: è questo il nome dell’associazione terroristica di cui si pensa facciano parte Costantino Virgilio e Manolo Morlacchi, di 34 e 39 anni, arrestati la mattina del 18 Gennaio a Milano. Secondo una complessa indagine durata oltre un anno, condotta dalla Digos di Roma e Milano in collaborazione con la Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, i due uomini sono gli ultimi membri di una associazione di stampo marxistaleninista, che aveva l’obiettivo di rilanciare la lotta armata e proporsi come le nuove Brigate Rosse. Per loro le accuse vanno dall’associazione eversiva alla banda armata, alla detenzione di armi. Stesse accuse che già nel Giugno del 2009 avevano portato all’arresto di altri cinque uomini, localizzati fra Roma e Genova, accusati di far parte della medesima formazione rivoluzionaria. L’inchiesta era iniziata nel 2007 con l’intercettazione di una telefonata effettuata da Luigi Fallico, ad oggi considerato capo del gruppo terroristico, in cui veniva organizzato un attentato alla Maddalena in occasione del G8. Le Forze dell’ordine avevano individuato i responsabili, effettuato pesanti perquisizioni, e sequestrato ingenti quantitativi di armi anche nelle abitazioni di Morlacchi e Virgilio a Milano.
Nulla di nuovo, dunque, per i due arrestati che lunedì scorso hanno subìto un altro controllo a sorpresa; e dopo un interrogatorio durato cinque ore, sono stati portati in cella di isolamento nel penitenziario di San Vittore. Tra gli effetti personali di uno dei due uomini, è stato trovato un dossier contenente istruzioni e consigli vari su come operare da terrorista: “una specie di codice di condotta consigliato ai militanti rivoluzionari”, così come citato nel manuale stesso. Spiegazioni su come usare internet senza lasciare tracce, come comunicare in codice senza il rischio di essere rintracciati, procedure e tecniche testate, insomma, che “devono essere applicate con la creatività che deve contraddistinguere i rivoluzionari”. Ciò nonostante entrambi i presunti terroristi negano l’appartenenza alla banda, e il loro legale ha già annunciato il ricorso al riesame dopo il secondo interrogatorio avvenuto giovedì. Ma a respingere le accuse è soprattutto Manolo Morlacchi, che si sente maggiormente accusato: Manolo, infatti, è il figlio di Pietro Morlacchi, considerato uno dei primi fondatori delle Brigate Rosse nel 1970.
Manolo si è laureato in Storia Contemporanea nel 1997 con una tesi dal titolo “Politica e ideologia nell’Italia degli anni ’70. Il caso Br” che rimandava all’esperienza del padre, ed ha pubblicato un libro sulla storia della sua famiglia, in particolar modo sulla figura di Pietro Morlacchi: “Non posso che guardare con enorme ammirazione alle scelte compiute da mio padre, da mia madre e da centinaia di altri compagni più di trent’anni fa”, aveva affermato in un’intervista; e in uno scritto dello scorso anno dichiarava che non è giusto essere considerati terroristi solo per il cognome che si porta.
Nel frattempo le indagini continuano, e mentre la Procura di Roma denuncia l’esistenza di altri due presunti neobrigatisti ancora in libertà, il Ministro dell’Interno Maroni si congratula con il Capo della Polizia per l’ottimo lavoro svolto:“Gli arresti dimostrano che l’attenzione delle Forze dell’ordine nei confronti del terrorismo brigatista è massima. Continueremo a mantenere alta la guardia per contrastare ogni forma di terrorismo ed evitare il ritorno degli anni di piombo”.
Pubblicato su “Campus @ TVG”.