In mostra le nuove bellezze del Quirinale

Il Quirinale apre le porte delle sue nuove bellezze. Dal 26 Marzo al 14 Aprile 2013 sarà aperta al pubblico la mostra “Il palazzo e il colle del Quirinale”, un percorso espositivo che, associato alla visita del Palazzo, presenterà ai romani i restauri e le affascinanti scoperte archeologiche che hanno coinvolto la residenza del Presidente della Repubblica durante il settennato Napolitano.

2.Antiquarium

Il nostro scopo era quello di organizzare una mostra che presentasse ai cittadini l’insieme dei lavori portati a termine durante il periodo 2006-2013, che hanno cambiato la fisionomia di molti degli ambienti dell’intero complesso del Quirinale – ha spiegato Louis Godart, Consigliere per la Conservazione del Patrimonio Artistico del Presidente della Repubblica Italianaquando ho parlato del progetto con la famiglia Colonna e la famiglia Pallavicini, tutti con gioia hanno voluto partecipare per dimostrare il loro affetto e la loro gratitudine al Presidente Napolitano”. La mostra, infatti, è arricchita da numerose opere, tra dipinti e sculture, provenienti dalle Collezioni Colonna e Pallavicini – straordinari capolavori strettamente legati alla storia di Roma e del Palazzo del Quirinale; ma anche da diverse opere custodite a Palazzo Valentini, frutto di recenti ritrovamenti.

Il percorso espositivo comprenderà una serie di pannelli multimediali in cui saranno illustrati gli importanti lavori condotti nei giardini del Quirinale, all’interno del Palazzo presidenziale sia sotto i portici del pianterreno sia in vari punti del piano nobile, nel cosiddetto “Fabbricato Cipolla” costruito dai Savoia per fungere da scuderie, sia infine nel complesso San Felice posto sul lato sinistro della discesa di via della Dataria e sotto al Palazzo Sant’Andrea. Ancora, statue e marmi risalenti a vari periodi della storia millenaria del colle e sparsi qua e là sono stati raggruppati all’interno di un Antiquarium insieme a materiale proveniente da altri scavi; mentre le ricerche condotte nei portici che collegano l’ala orientale del palazzo alla cosiddetta “Manica Lunga”, hanno rivelato l’esistenza di pitture seicentesche di grande importanza storica, così come la magnifica decorazione delle pareti rimessa in luce nel Passaggetto di Urbano VIII.

Tutti questi capolavori aprono nuove pagine nella storia del Quirinale – ha aggiunto Godart durante la conferenza di presentazione – pagine che strappiamo dall’oblio e che ci permettono di recuperare la memoria di un palazzo che è al tempo stesso sede istituzionale e museo”.

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I disturbi dell’apprendimento: cos’è la dislessia?

Si pronuncia come si legge. Una comodità della lingua italiana, questa, che semplifica la vita ai parlanti nativi e a molti studenti stranieri. Con le sue regole ortografiche e fonetiche, l’italiano è una delle poche lingue in cui la maggior parte dei grafemi (le singole lettere scritte) hanno un loro corrispondente sonoro specifico. Grande vantaggio, sicuramente, anche per chi soffre di disturbi del linguaggio.

Anche il linguaggio, come ogni organo o apparato del nostro corpo, ha le sue patologie e i suoi disturbi. Da un lato esistono patologie che potremmo definire “fisiche”, legate cioè a malfunzionamenti degli organi che servono per la fonazione – ad esempio le corde vocali – o a problemi di articolazione, che incidono sull’emissione vocale; dall’altro esistono patologie strettamente collegate alle aree del cervello in cui risiedono le capacità comunicative e che vanno a modificare in maniera più complessa la produzione strutturale della lingua.

Per molti anni si è creduto che la dislessia fosse una malattia, ma non è così. E non riguarda neanche direttamente il linguaggio inteso come espressione verbale. Si tratta di un Disturbo Specifico dell’Apprendimento ed è una difficoltà connessa alla capacità di leggere e scrivere in modo corretto e fluente. Ha a che fare solo con uno specifico dominio di abilità (lettura, scrittura e calcolo) e lascia intatte le funzioni intellettive generali. Colpisce il 3-4 % della popolazione scolastica e si manifesta con errori e lentezza nella lettura o con una difficoltà di comprensione del testo scritto.

L’International Dyslexia Association ha recentemente definito la dislessia come “una disabilità dell’apprendimento di origine neurobiologica derivante da un deficit nella componente fonologica del linguaggio”. Ciò significa che se per un non-dislessico è automatico associare il segno scritto /a/ al suono [a], per un dislessico c’è bisogno di un ragionamento non del tutto istintivo. È per questo che non è possibile apprendere la lettura o la scrittura nei normali tempi e con i normali metodi di insegnamento, ed è anche questa la ragione per cui – viste le premesse – i dislessici italiani sono di meno rispetto a quelli inglesi, ad esempio, che hanno una lingua che “non si pronuncia come si legge”.

Esistono numerosi tipi di dislessia che riguardano i diversi livelli della lingua (fonologico, lessicale, semantico) in maniera più o meno profonda, ma la cosa importante è identificare il disturbo in età scolare per poter intervenire con terapie personalizzate. Gran parte del lavoro di riconoscimento, dunque, è nelle mani degli insegnanti che dovrebbero intraprendere percorsi di insegnamento alternativi e specifici per i dislessici, capendo in prima persona che chi soffre di dislessia non è incapace di apprendere, ma ha semplicemente un modo diverso di farlo.

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STOP agli sprechi di parole!

In tempo di crisi si risparmia su ogni cosa, ma proprio non si riesce a fare a meno di sprecare parole. Ne avremmo un gran bisogno, eppure non siamo in grado di fare economia di linguaggio: la lingua, al contrario del denaro, pare non esaurirsi mai. La nostra è la società degli eccessi e questo lo si legge anche nel nostro modo di parlare: i discorsi sono ricchi di frasi superflue che non fanno altro che appesantire la comunicazione, dandoci però l’illusione di saper utilizzare un linguaggio colto che spesso non serve a nulla.

Se da una parte la velocità dei nuovi mezzi di comunicazione ha costretto il linguaggio comune a dimezzarsi, stringando gran parte dei suoi vocaboli di uso quotidiano, dall’altra una delle cose in cui la lingua ancora ama perdersi in chiacchiere è la burocrazia. Il burocratese è lo stile espositivo adottato dagli enti amministrativi che intendono comunicare con i cittadini, e sebbene il suo scopo sia quello di spiegare norme e regole alle persone, finisce per essere un calderone di termini obsoleti, espressi in forme linguistiche ricercate e di difficile comprensione.

Il linguaggio burocratico, come tutti i linguaggi di settore, utilizza un registro forbito anche quando non serve. Ci sono frasi troppo lunghe con troppe subordinate, ed è pieno di formule ridondanti. Si preferisce utilizzare termini arcaici (testè, altresì, all’uopo, codesto) o dotti (ottemperare, espletare, istanza) invece di vocaboli ad alta frequenza d’uso. Le numerose frasi in forma passiva (“la data è stabilita dalle autorità” invece di “le autorità stabiliscono la data”) sporcano inutilmente la fluidità del testo, così come tutte le doppie negazioni (“non è inammissibile” invece di “è ammissibile”; “non si può non considerare” invece di “si deve considerare”). Queste forme espressive sono totalmente inutili e sostituibili con strutture più brevi e di immediata comprensione.

Sembra che i burocrati abbiano così tante parole da non sapere più come sperperarle. Ci sono troppe frasi impersonali come “si fa presente la necessità di..” o “si fa obbligo di…” che non permettono sempre una chiara identificazione del soggetto e del destinatario del messaggio; e c’è un eccessivo abuso del participio presente con funzione di verbo, per esempio: “la circolare avente oggetto” al posto di “la circolare che ha per oggetto”.

Ma anche i comuni parlanti possono cominciare a ridurre gli sprechi: aboliamo l’uso spropositato degli avverbi “assolutamente”, “sicuramente” e “ovviamente”, tutti sostituibili con un semplice “sì”; e via tutte le locuzioni congiunzionali tipo “nel caso in cui”, “nel momento in cui”, “sempre che”, rimpiazzabili da un banale “se”. Insomma, cominciamo a modernizzare la nostra lingua un po’ troppo barocca e diamole una linea più snella e alla portata di tutti.

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