Quando esci dal cinema stai pensando. E ci pensi tutto il tempo che torni a casa. Pensi a quello che ha fatto Davide, per quale motivo Angelica ha detto quella cosa, cosa intendeva Roberta con quello sguardo. Ci pensi perché non puoi non riflettere dopo aver visto un film come Saturno Contro.
E’ la storia di un gruppo di amici normali, con una storia comune, costretti ad affrontare spiacevoli vicende all’ordine del giorno. Antonio e Angelica sono sposati, lui impiegato bancario, lei psicologa affermata ed entrambi due genitori troppo distratti sull’orlo del divorzio. Poi ci sono Lorenzo e Davide che vivono insieme, si amano ed organizzano cene e feste con tutto il gruppo composto anche da Roberta, giovane donna appassionata di oroscopo alle prese con droghe e fumo, Neval, interprete turca sempre schietta e ironica ed altri amici inconsueti ma caratteristici.
La finestra che vuole aprire il regista sulla loro storia, focalizza il momento drammatico in cui Lorenzo muore rimettendo in discussione tutti i rapporti fra i personaggi ed evidenziando il senso d’abbandono. È proprio questo quello su cui si fonda la trama: come viene vissuto l’abbandono dal gruppo e come viene vissuto individualmente. Ognuno infatti lascia o viene lasciato in diverse forme, generando o subendo sofferenze che lo cambiano e che modificano gli assetti emotivi della sua vita. E’ proprio durante l’attesa di un risveglio o di un sonno definitivo di Lorenzo che tutti gli altri personaggi si raccontano, si espongono, imparano a capirsi: Antonio trova il coraggio di dichiarare alla moglie che la tradisce con Laura, affascinante fioraia. Questo manda in crisi Angelica che ha passato una vita ad analizzare gli altri senza riuscire mai a trovare in sé stessa quella perfezione di cui è alla ricerca. Davide, dal canto suo, è distrutto dal dolore e come se non bastasse è costretto ad affrontare la freddezza del padre di Lorenzo che ha sempre fatto fatica ad accettare l’omosessualità del figlio e la sua vita di coppia già da tempo consolidata. Roberta, che non ha mai trovato un equilibrio, ha realizzato di aver perso il suo più caro amico, forse unica forza da cui traeva un pizzico di autostima mentre tutto il resto del gruppo rimpiangerà di non aver imparato prima come si fa ad essere felici… cosa che Lorenzo aveva capito benissimo.
Personalmente, trovo che questo film sia geniale. Ho imparato ad apprezzare Ferzan Ozpetek già per La finestra di Fronte, Le fate ignoranti, Cuore sacro, ma con questa sua ultima opera credo abbia oltrepassato di molto il livello di emotività coopresente con ironia e drammaticità che uno spettatore pretende o si aspetta dal film che va a vedere. E’ una storia che affronta le più disparate tematiche attuali: dalla famiglia rivalutata e riconsiderata, dal tradimento, alle coppie di fatto omosessuali, passando per le dipendenze da droghe fino ad un timido accenno all’eutanasia. Molti lo hanno commentato come pesante e noioso mentre io lo trovo estremamente intelligente. Il regista, secondo me, riesce a raccontare temi di grande spessore con leggerezza, decorati da cruda ironia lasciando incompiuti gli spunti ad un punto giusto di equilibrio che fa pensare e che conduce inevitabilmente a prendere posizione. Il bello di questo film però, è che non è assolutamente politico. Tutto questo, infatti, viene raggiunto attraverso le emozioni, attraverso l’energia emotiva che secerne ogni scena. Io penso sia uno dei maggiori obiettivi che si pone un regista. E questo, è un film che ha una responsabilità sociale grandissima.
Sono stato anche molto colpito dal senso di incomunicabilità, di vuoto, che Ozpetek ha voluto evidenziare. Ci sono due scene in cui sono molto presenti due voci straniere fuori campo (una di una guida turistica ed una di una ragazza al telefono alla quale si interrompe la comunicazione) che riescono gelidamente a trasmettere la dimensione della mancanza di contatto. Mancanza di terreno in quei momenti difficili di dolore. Il film dunque va avanti a intuizioni, è una continua coniugazione di sguardi e toni ben ponderati.
Inoltre ho trovato molto interessante un espediente che è stato pensato per supportare questo senso di vuoto. Mi riferisco a due momenti precisi del film, uno quando gli amici si rendono conto che Lorenzo non ha speranze di sopravvivenza e l’altro quando effettivamente muore, in cui il regista non ha pensato di inserire musiche tristi o particolari peripezie cinematografiche, bensì ha pensato di annullare completamente il sonoro. Ci si trova dunque, di fronte a questi due silenzi così ghiacciati di qualche secondo che risultano rumorosissimi nel cuore di chi guarda il film. Davvero geniale.
Da un punto di vista tecnico si ha davanti un montaggio curatissimo, che dà importanza tanto ai dettagli quanto alle espressioni dei personaggi. Personaggi che, tra l’altro, non vengono mai raccontati esplicitamente: lo spettatore impara a conoscerli lentamente grazie a quello che durante l’intera storia esprimono col volto, coi gesti. Per esempio si capisce il personaggio di Angelica anche grazie a brevi scene che inquadrano i difficili rapporti che ha con la figlia o si avverte il dolore di Davide attraverso ripetute inquadrature di spalle, a testa bassa oltre che da toccanti primi piani che lacerano lo schermo. E questo non sarebbe potuto avvenire senza un’ottima sceneggiatura e senza un cast artistico d’eccezione. Tornano sugli schermi nomi come Margherita Buy, Stefano Accorsi, Pierfrancesco Favino, Ennio Fantastichini, Isabella Ferrari, tutti di una profondità encomiabile. Ma sono da sottolineare anche due piacevoli rivelazioni come Ambra Angiolini e Luca Argentero entrambi capacissimi di immedesimarsi nei difficili ruoli che hanno interpretato.
Inoltre ho piacere di sottolineare alcune tra le scene più belle, come quella in cui Davide si rifugia da solo in cima ad una collina, dopo la morte del suo compagno, ed ha avanti a sé il panorama immenso del mare. Dopo questa splendida inquadratura segue un singhiozzante primo piano che non si riesce a raccontare. Come se quel mare infinito fossero tutte le sue lacrime…
Un’altra delle scene più significative invece è quella in cui tutto il gruppo si dirige verso la camera mortuaria per dare un ultimo saluto a Lorenzo. In questa sequenza si vede Roberta che non entra, rimane nel corridoio ansimante, lei che non era mai riuscita ad entrare neppure nella stanza d’ospedale, è lì che timidamente si affaccia da quello strano tunnel e anziché vedere tutti i suoi compagni piangere attorno al corpo, vedrà tutto il gruppo ridente insieme a Lorenzo ancora in vita che le sorride. Come a voler dire che l’ultimo ricordo del suo amico, lei preferisce sia quello delle belle cene felici di una volta.
Che dire, un film davvero straordinario e ricchissimo di scene come quelle appena descritte valorizzate anche da una splendida colonna sonora composta da Neffa, che ha scritto appositamente per il film le varie musiche e il tema principale chiamato Passione.
Prima di scrivere questa recensione ho voluto aspettare, rivedere più volte il film, cogliere nuove chiavi di lettura. Questo perché tutti i film, per ciò che mi riguarda specialmente quelli di Ozpetek, non vanno cotti e mangiati. Bisogna assaporarli, gustarli, sentirli nel cuore, assimilarli. Quando esci dal cinema pensi. E ci pensi per tutto il tempo che torni a casa. Pensi a quante cose importanti spesso non riusciamo a vedere o preferiamo nascondere. A quanto siamo superficiali e a quanto approssimativamente viviamo la nostra vita tentando di giudicare quella degli altri. Lasciamo correre tante cose umili, semplici e di valore inestimabile senza capire il bello nascosto, eppure così evidente, che c’è nel vivere di ognuno di noi. Quando entri nel cinema non immagini minimamente quello a cui penserai dopo due ore.